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DI RITORNO DA ROSARNO

Lettera aperta ai rosarnesi.


Sarebbe stato indubbiamente più facile non andare a Rosarno con il mio film Il Sangue Verde.

In fondo quanti giornalisti, fotografi e registi hanno raccontato le rivolte di Rosarno senza sentire alcun bisogno di presentare il proprio lavoro ai rosarnesi?



E in generale quanti narratori o investigatori tornano nei luoghi della loro inchiesta critica per difendere il loro lavoro e la loro parola?

Capita raramente e credo che la ragione non sia da cercare in comode fughe di responsabilità o vigliaccherie simili (anche se a volte succede); ma piuttosto nella difficoltà di riportare in un contesto locale il racconto pensato per un'arena universale. Soprattutto se il contesto locale è, come nel caso di Rosarno, una piccola cittadina di provincia trasformata dagli eventi in centro di attenzioni internazionali. La tendenza naturale della comunità di quella cittadina sarà la difesa di fronte a quella moderna forma di violenza data dalla sovraesposizione mediatica della propria identità.

Molto facilmente la comunità locale ascolterà i racconti esterni con la comprensibile diffidenza nei confronti di narratori non solo poco esperti della quotidianità locale, ma anche privi di un'autorizzazione e di un'autorità morale rispetto alla comunità stessa.

La tensione tra locale e esterno è forte e nella comunità si fa comprensibilmente fatica a cogliere i fattori di crescita che occasioni simili di confronto possono comunque portare.

" Ma tu che ne sai?"

" Tu non vivi qui tutti i giorni"

" Quello che tu dici è solo una parte della verità"

"Vedi solo ciò che vuoi. Per i tuoi interessi di carriera"

Sono commenti quasi inevitabii in occasioni del genere. 

Me li aspettavo e inevitabilmente sono arrivati.



Sono andato a Rosarno con John Kofi, uno dei protagonisti del film, con Stefano Liberti, amico con cui ho condiviso molti dei miei racconti "africani", Matteo Calore, codirettore della fotografia del film e Andrea Sabbadini, fotografo amico di Stefano. Al nostro arrivo abbiamo chiesto a dei passanti dov'era il Liceo Piria, la scuola dove era prevista la proiezione, e ci siamo avviati a piedi. Abbiamo chiamato la Preside, che ci ha sollecitato ad essere puntuali, che tutti ci stavano aspettando. Abbiamo allungato il passo e siamo arrivati. Puntuali.

A scuola l'Aula Magna era già piena di studenti e cittadini, protetta da esponenti delle forze dell'ordine e carica di attesa.

Dopo una calorosa accoglienza e una breve introduzione, è iniziato il film.

A pochi minuti dalla fine non sapevo esattamente cosa aspettarmi. Ero seduto affianco a Peppino Lavorato, ex sindaco di Rosarno coprotagonista del film; lui sembrava più preoccupato di me. Non me lo ha detto, ma l'impressione è che temesse fischi e proteste. Invece con grande sorpresa sua e felicità mia, allo scorrere dei primi titoli di coda, la sala si è riempita di un forte e vivo applauso.

Che però non ha potuto durare molto.

Pochi secondi dopo, la Preside Russo, ha interrotto l'applauso parlando al microfono in mezzo all'aula.

"Questa è solo una verità. Ma noi sappiamo che ne esiste un'altra, quella della Rosarno per bene, aperta e solidale che costruisce accoglienza e dialogo. E ora vi mostriamo il nostro video, che mette in luce questa verità".

Il sasso era lanciato. Il regista che aveva sfruttato la notiziabilità della faccia negativa di Rosarno contro la comunità rosarnese tradita e offesa, che ora poteva e doveva rivendicare il suo volto positivo, denunciando la furbizia e la scorrettezza del regista "straniero".

Non c'è stato altro tema se non questo.

Ho cercato sin dalla mia prima risposta di suggerire uno spostamento di attenzione verso i contenuti e le pratiche comuni da attivare insieme (a livello locale e a livello nazionale)  perché violenze e ingiustizie non si potessero ripetere.

Ho provato a spiegare il mio punto di vista: Rosarno è stata prima lasciata sola ad affrontare una fenomeno complesso e impossibile da risolvere con i soli strumenti di un piccolo paese già schiacciato da una forte crisi economica e dal potere politico e sociale della 'ndrangheta e poi utilizzata come caso nazionale su cui far crescere il consenso su misure repressive nei confronti dell'immigrazione.

Una gran parte dei rosarnesi di per sè non ha alcuna colpa, ma non per questo devono essere taciute le enormi ingiustizie subite nella Piana di Rosarno per almeno quindici anni da centinaia di onesti lavoratori stranieri.

Ci ho provato, ma non è stato facile. Le domande erano quasi tutte uguali. Due ore di dibattito tutto indirizzato a criticare o difendere il regista e l'immagine che aveva fornito di Rosarno, della "nostra Rosarno".

Un'attenzione inevitabile e per altro facilmente comprensibile, ma che nello stesso tempo, diventando dominante, produce distrazione da quello che invece potrebbe diventare in queste occasioni il vero terreno di crescita comune: lo scambio di conoscenze.

Scambio tra chi vive la quotidianità di un luogo, chi ha le competenze professionali per cercare di raccontarlo dall'esterno e per l'esterno e, nel nostro caso, anche chi da estraneo alla comunità ne ha vissuto tensioni e contraddizioni. C'eravamo tutti sabato mattina a Rosarno: i rosarnesi (tanti e attenti), io e Stefano (da dieci anni ricercatori e narratori delle migrazioni) e con noi anche John Kofi, lavoratore ghanese che tornava con grande emozione ad incontrare quella comunità dove per due inverni aveva vissuto condizioni di vita disumane, sfruttamento lavorativo e violenze gratuite di stampo mafioso. John ha avuto la parola poco dopo la proiezione dei video. Ha detto chiaramente due cose: "Io qui a Rosarno ho subito ingiustizie e violazioni della mia dignità, ma so che a Rosarno ci sono molte persone per bene e credo che insieme, uniti possiamo porre fine alle violenze e alle ingiustizie avvenute negli anni passati." Ed ha poi aggiunto "le manifestazioni dello scorso anno sono esplose perché dentro noi sentivamo una grande rabbia, ma vi chiedo comunque scusa per i danni che sono stati arrecati durante l'esplosione della nostra rabbia."

Messaggi chiari e tutt'altro che scontati, che nascevano dalla sincera speranza e volontà di dialogo e collaborazione.

John è stato applaudito, ma poi dimenticato.

E' iniziata la processione di interventi pro o contro il regista, pro o contro l'immagine di Rosarno raffigurata dal regista. A John nessuno traduceva in inglese e nessuno faceva domande. John era il contenuto di cui occuparsi, l'oggetto e il soggetto della conoscenza; invece è stato dimenticato. Peccato.


Di fronte a questa situazione ho cercato, nel rispetto di un'esigenza difensiva che capivo e capisco tutt'ora, di proporre terreni di scambio e dialogo più concreti e, secondo me, anche più importanti del dibattito sull'immagine di Rosarno. E con me, sinceramente credo anche meglio di me, l'ha fatto Peppino Lavorato. 

Siamo partiti da un concetto molto semplice. Le ingiustizie e le violenze ci sono state. E hanno una grande causa primaria che schiaccia la vita economica e sociale di Rosarno, favorendo scontri tra le classi meno agiate della Piana: la 'ndrangheta. Bisogna riconoscere questa causa e attivarsi per contrastarla concretamente, senza perdere troppo tempo su immagini e rappresentazioni, e riconoscendo il ruolo dirompente che ha avuto il coraggio di ribellione da parte dei lavoratori stranieri vittime di sfruttamento e violenze.

Alcuni dei nostri inviti sono stato accolti, altri semplicemente evitati.

Per questo, nella speranza che la proeizione di sabato de Il Sangue Verde segni l'inizio di un confronto più pragmatico sulla questione del bracciantato straniero nella Piana di Gioia Tauro, scelgo questa lettera per rilanciare quattro inviti.

1. Utilizzare le tante energie positive e la grande attenzione degli studenti rosarnesi su questo tema, per attivare un osservatorio libero, indipendente e non strutturato su quanto governi locali e nazionali sapranno fare per migliorare le condizioni di vita dei braccianti stranieri e contemporaneamente per tutelare gli interessi economici dei proprietari terrieri onesti. Il sito del film può ospitare , come luogo libero e non assoggettabile ad alcun interesse locale, le notizie provenienti da Rosarno su questo tema. Alcuni esempi per capirci: viene istituito un centro di mediazione tra domanda e offerta di lavoro dotato di mediatori culturali e interpreti? Come funziona? Vengono fornite facilitazioni per accedere a soluzioni abitative dignitose?(*) Vengono effettuati controlli sui luoghi di lavoro? Vengono attivati processi per evitare la continua svalutazione dei prezzi di vendita dei prodotti alimentari? La raccolta di questi dati non è facile e per questo noi del film possiamo mettere a  disposizione contatti con ricercatori e giornalisti capaci di fornire formazione a studenti e cittadini di Rosarno. 

2. Fare una mappatura di iniziative concrete esistenti a Rosarno per costruire una comunità più aperta al dialogo e alla conoscenza con gli stranieri. Anche questa mappatura può essere ospitata sul nostro sito, oltre a poter essere tradotta e diffusa agli stranieri già presenti o in arrivo nella Piana.

3. Rafforzare nelle scuole pubbliche i momenti di incontro con le vecchie generazioni che possono raccontare la storia dei movimenti di lotta del bracciantato locale da una parte e le esperienze di emigrazione dall'altra.

4. Ed infine, ma è forse la proposta più forte, conferire il Premio Valarioti(**) ai lavoratori stranieri che si sono ribellati alle violenze della 'ndrangheta e alle condizioni di sfruttamento lavorativo. Farlo con una cerimonia pubblica nel gennaio 2011, come primo atto della nuova giunta comunale dopo anni di commissariamento per mafia.


Sono sicuro che a Rosarno esistano le energie positive necessarie per avviare questi percorsi e prendere queste decisioni. Ne sono sicuro perché le ho viste sabato mattine e le ho incontrate anche nei viaggi passati.

Ma ne sono sicuro pur non accettando in alcun modo di poter tacere il potere economico e politico della 'ndrangheta a Rosarno.

E ne sono sicuro pur mantenendo ferma la convinzione che a Rosarno per oltre dieci anni decine di onesti lavoratori sono stati trattati in modo disumano e ingiusto, diventando quasi ogni anno oggetto di intimidazioni e violenze di chiaro stampo mafioso e razzista, di fronte alle quali hanno prima cercato invano di alzare denunce civili e poi hanno fatto esplodere una rabbia forse esagerata, ma assolutamente condivisibile.

Da quella rabbia credo che tutta Italia abbia molto da imparare, anche per dare una risposta alle ipocrisie demagogiche e xenofobe con cui il governo nazionale e molta parte della classe politica italiana hanno prima nascosto e poi mediaticamente sfruttato le tensioni sociali di Rosarno.

Una rabbia che non possiamo permetterci di non ascoltare, perché capace di dire molte cose che troppi italiani non hanno il coraggio o la possibilità di dire. Come mi ha spiegato con grande sincerità una giovane studentessa che ho incontrato a Rosarno la sera stessa dopo la proiezione.

"Tu non sai - mi ha detto - quanti di noi rosarnesi subiscono intimidazioni e violenze simili senza poter o saper reagire. Gli africani hanno fatto ciò che noi non abbiamo il coraggio di fare o perché abbiamo paura o perché non abbiamo più speranza".

" E allora - le ho chiesto - perché questa mattina a scuola non avete parlato con John? Era una bella occasione, non credi?"

"Cavoli, hai ragione. Non ci avevo pensato. Dovevamo farlo. Ma eravamo stati tutti preparati a dover difendere Rosarno. Non sai quanto eravamo tesi. Sapevamo che arrivava il regista che aveva criticato il nostro paese e noi dovevamo contrattaccare per difenderci. Così ci avevano detto. Pensavamo solo a questo e credo che così abbiamo perso delle occasioni."

Un po' lo credo anch'io e mi dispiace che sugli studenti si sia riversato questo tipo di tensione senza pensare alle sue conseguenze negative sui possibili processi di conoscenza attivabili in occasioni come queste. 

Ma nello stesso tempo credo anche che l'occasione non sia stata del tutto persa, anzi.

Credo che l'intensità e l'animosità della mattinata potrà far crescere energie e desideri di cambiamento in grado di far incontrare la rabbia degli africani con la costruzione di una Rosarno migliore per tutti, non solo per i pochi, soliti privilegiati.

Per questo ho voluto scrivere questa lettera.




(*) Vi sono già a Rosarno alcune decine di africani che lavorano saltuariamente nelle campagne e che vivono in vecchie case e baracche fatiscenti del centro storico in condizioni del tutto inaccettabili. Noi li abbiamo conosciuti e incontrati. Non possiamo nascondercelo.

(**) Peppino Valarioti fu un dirigente del PCI ucciso brutalmente dalla 'ndrangheta a Rosarno nel 1980. Il Premio Valarioti è stato conferito per anni a Rosarno a persone distintesi per l'impegno contro la 'ndrangheta.