In queste pagine sabato scorso Ferdinando Camon invitava tutti noi a seguire l'esempio israeliano per cambiare strategia di fronte al ripetersi di attentati terroristici nel cuore d'Europa. L'invito di Camon arriva al termine di un ragionamento che critica come inutile e ingenua la “strategia della normalità” .
In altri termini Camon dice che è sbagliato continuare a far finta di niente, continuare a provare a vivere normalmente la nostra vita, incrociando le dita che non tocchi proprio a noi. Dice che bisogna essere consapevoli che tutto ciò è ormai parte della nostra realtà e bisogna dotarsi di strumenti eccezionali di sicurezza, “sorvegliandosi armati in casa, per strada e al lavoro”.
Sarebbe troppo facile rispondere che questa direzione non farebbe che distruggere lo stato di diritto e la libertà che viviamo in Europa; sarebbe facile e anche sempre meno utile a costruire un'alternativa alla spirale di odio e paura che cresce di giorno in giorno. Perché credo che in fondo difenderci armati o conservare le nostre libertà siano in fondo due direzioni della stessa posizione, una sorta di stallo immobile di fronte a proposte di cambiamento inquietanti. E' come se oggi nel mondo a proporre un sogno, una novità, un'alternativa siano pensieri e poteri di violenza e di discriminazione e chi cerca di contrastarli abbia di conseguenza solo due possibilità: difendersi con altrettanta violenza o conservare lo status quo contro il cambiamento proposto. Una posizione di difesa e protezione in entrambi i casi. Una posizione incapace di generare comunità e entusiasmo, se non forme di entusiasmo assai pericolose che si muovono nella stessa direzione dei signori del terrore.
Allora io sono d'accordo con Camon che non possiamo continuare semplicemente a difendere la nostra normalità, ma a differenza sua credo che dobbiamo avere il coraggio di metterla in discussione in modo radicalmente diverso da chi la attacca per distruggerla. Viviamo un'epoca di profondi mutamenti che producono ferite indelebili, ma non possiamo cercare di curare le ferite senza capire i mutamenti.
Abbiamo il coraggio di ridefinire la nostra normalità, in una direzione capace di dare risposte a questi mutamenti? Cosa stiamo facendo rispetto a inaccettabili diseguaglianze economiche e sociali? Cosa stiamo facendo per ridurre il nostro impatto negativo sulle vite di molti altri? Cosa per dare uguaglianze di diritti a milioni di persone "straniere" che lavorano per le nostre economie ? Cosa per cambiare il nostro rapporto con il consumo delle energie e la società dei consumi? L'Europa e noi con lei nell'arco di 15-20 anni si è trasformata da sogno a nemico per milioni di persone schiacciate nelle sue periferie interne e nei suoi margini esterni. Non solo grazie alla crescita di ideologie fondamentaliste, ma anche e soprattutto per la sua abitudine a produrre e seminare inequità. In quei luoghi trovano braccia e disperazione i signori della violenza o addirittura, come a Monaco, la violenza in sé stessa senza bisogno di alcun committente: come se la violenza e i suoi signori fossero nel mondo di oggi gli unici promotori di cambiamento. Sto male, quindi distruggo. A cui si contrappone in modo altrettanto inquietante: sto bene, quindi consumo. L'alternativa è così schiacciata: o riesco ad accedere al consumismo all'"occidentale" (termine ormai insensato, molte capitali del comunismo sono a oriente oggi) o mi affido al fondmentalismo anti-occidentale.
Se a quei luoghi (periferie interne ed esterne) e ai suoi milioni di non-cittadini noi rispondiamo con la conservazione della normalità o con la difesa armata, non facciamo che aumentare la disponibilità di quei luoghi ad ospitare e sostenere i signori della violenza. E non ne usciamo più, se non aumentando lo scontro.
E' già troppo tardi o abbiamo il coraggio di lanciare un progetto di cambiamento dell'Europa e della nostra vita per spiazzare il potere malvagiamente onirico del terrore e dei suoi signori?
Di questo vorrei si potesse parlare, di questo vorrei sentir parlare i centri e le periferie insieme.
Vorrei avessimo il coraggio di rispondere a chi violenta la nostra normalità che noi in realtà vogliamo cambiarla; solo così potremo sconfiggere la loro perversa violenza. Vorrei che il nostro sogno di equità e giustizia fosse più forte del loro finto sogno di vendetta. Vorrei che questo sogno diventasse più grande di distanze culturali e sociali che oggi sembrano inevitabili, ma che l'umanità spesso ha dimostrato di poter superare.
Altrimenti l'unico sogno che ci rimarrà è quello di saper sparare prima e con più cattiveria.
Un incubo più che un sogno.