Editoriale uscito sui quotidiani del nord-est del gruppo Espresso il 20.9.2016
Sono
appena tornato da Palermo. E negli ultimi mesi sono stato a Siracusa,
a Caserta, a Napoli, a Catania, a Ragusa. Città splendide e
maledette. Città segnate dalla storia, nella sua eternità e
decadenza, nelle sue bellezze e contraddizioni.
In
queste città, come in molte altre del sud, il tema dell'accoglienza
dei profughi genera tensioni, crea interessi e conflitti, ma nessuno
mette in discussione che i profughi possano vivere nel centro di
queste città.
A Ballarò come a Ragusa Ibla, a Castro come a Forcella. Le case dove vivono richiedenti asilo e rifugiati sono nel cuore delle città, nel cuore della loro bellezza e della loro decadenza. Camminare per Ballarò o nei vicoli arabo-ebraici della Kalza e incontrare gambiani, maliani, bengalesi o siriani è normale, vivono negli appartamenti o nei centri di accoglienza ospitati da vecchi conventi in palazzi normanni con meravigliosi giardini. I loro vicini di casa sono i palermitani stessi, si incontrano al mercato, al bar, a scuola, si parlano dalle finestre, nelle piazze. Si ha la sensazione di essere nel cuore di un nuovo mondo, che nelle sue fatiche e speranze si prepara a ridefinire appartenenze e confini. Non un mondo idilliaco o perfetto, anzi, ma un mondo capace di guardare in faccia i cambiamenti e di ospitarli nel suo tessuto civile, nella sua storia.
Da
mesi in Veneto si parla della necessità di superare luoghi disumani
di concentrazione dei profughi come Cona o Bagnoli e di creare
un'accoglienza diffusa che coinvolga tutti i comuni della regione. Ma
se tutti sembrano d'accordo su questa necessità, in pochi sembrano
disposti a immaginare un'accoglienza che coinvolga le città e non
isolati quartieri di periferia o dismesse caserme sconnesse dal
tessuto urbano.
Io
credo che la sfida vera dell'accoglienza debba passare dal
coinvolgimento dei centri delle città, che non ha senso continuare a
considerare piccole bomboniere da mantenere nella loro spesso vuota
bellezza, messa a disposizione di turisti e pochi privilegiati.
Ospitare
i richiedenti asilo in appartamenti e case nei centri delle città
venete aprirebbe una nuova fase di questa lunga e complessa storia.
L'accoglienza e le sue sfide entrerebbero nella vita civile delle
città, convocando nuove energie e nuove competenze non solo a
gestire, ma anche ad immaginare la società del futuro; una società
che ormai abbiamo capito non può prescindere dal saper affrontare il
movimento di migliaia di persone non più disposte ad aspettare
cambiamenti troppo a lungo promessi, ma mai nemmeno iniziati; una
società che con l'accoglienza può far crescere professionalità ed
esperienze essenziali per non vivere il presente come emergenza, ma
per iniziare già a diventare futuro.
Se
il Veneto davvero vuole superare i disumani centri con centinaia di
persone ammassate in luoghi deserti e abbandonati, deve imparare a
portare la sfida dell'accoglienza al centro delle nostre vite e delle
nostre città, costruendo non solo un'accoglienza diffusa di poche
persone per ogni comune, ma anche un'accoglienza civile e civica
capace di inserirsi nel cuore della nostra storia, sapendola
rispettare e ridefinire nello stesso tempo.
Non
leggete questa come una proposta unidirezionale, i buoni
profughi
da aiutare nelle nostre città. Io non credo nei buoni
o cattivi profughi,
credo in vite che cercano un senso e una direzione e che facendolo
compiono anche molti errori, dovuti spesso dall'incontro con una
cultura e una società che non conoscono e non sanno come rispettare.
A queste persone non va data un'accoglienza neutra e isolata,
altrimenti in loro quegli errori rischiano solo di crescere.
Inserirli nei tessuti civici delle nostre città significa anche dare
a loro, come a noi, la responsabilità di comprendere e rispettare,
di conoscere l'altro e di capire i propri errori per non ripeterli.
Tenerli lontani, isolati ed ammassati significa consegnare loro, come
noi, all'ignoranza e alla reciproca diffidenza.
Per
questo mi permetto di lanciare in queste pagine un appello rivolto ai
sindaci, ma ancora prima ai cittadini delle tante meravigliose città
e cittadine del Veneto: chi ha davvero coraggio di vivere questa
sfida? Chi ha voglia di mettere al
centro
il coraggio e la fatica dell'accoglienza?
Chi vuole rispondere a queste domande può farlo liberamente qui sotto.
Chi vuole rispondere a queste domande può farlo liberamente qui sotto.