NOTE DI REGIA
L’idea del film nasce da due esigenze, da una parte la voglia di raccontare due luoghi e due mondi molto importanti per la mia vita e nello stesso tempo molto emblematici nell’Italia di oggi, dall’altra l’esigenza di trovare in una storia, nello stesso tempo realistica e metaforica, il modo per parlare del rapporto tra individuo e identità culturale, in un mondo che sempre più tende a creare occasioni di contaminazione e di crisi identitaria.
Credo che le periferie romane siano oggi in Europa uno dei laboratori più intensi di dialogo interculturale e che lo siano in modo molto differente da quelle di altre capitali Europee.
Ciò è dovuto essenzialmente da due fattori: dal fatto che l’Italia è diventato un paese di immigrazione senza aver completamente risolto condizioni di disagio e povertà interna e parallelamente senza aver un passato coloniale paragonabile a quello delle altre nazioni europee a forte immigrazione.
Questo crea in molte zone non ricche d’Italia, e nelle periferie di Roma in modo particolare, una condizione di multiculturalità molto variegata (non c’è una comunità straniera predominante come potevano essere i tunisini e gli algerini in Francia e gli indiani e i pakistani in Inghilterra) e di dialogo non semplice ma sicuramente intenso tra le culture straniere e la base popolare e “borgatara” di queste zone.
Questa condizione crea essenzialmente delle zone nascoste ma non conflittuali di illegalità o paralegalità all’interno, nel cuore dei quartieri popolari come Pigneto e TorPignattara (dove per altro io vivo).
Una di queste “zone” è quella rappresentata dai laboratori tessili o comunque artigianali organizzati dalla comunità cinese.
Contemporaneamente credo che il Veneto sia un territorio di grande interesse per studiare, capire e raccontare la difficoltà di dialogo tra identità in crisi. L’identità veneta è stata infatti rivoluzionata radicalmente negli ultimi 30-40 anni, grazie ad uno sviluppo economico eccezionale che ha sconvolto abitudini, ritmi di vita, spazi sociali ed equilibri comunitari. Una regione che in pochissimo tempo si è trasformata da terra di emigrazione a terra di immigrazione: sono quasi un milioni gli immigrati che vivono e lavorano in Veneto, facilitati dalle buone condizioni economiche della regione, ma nello stesso tempo ostacolati da una certa chiusura di una società opulenta e non certo cosmopolita.
Chioggia, piccolo paesino di laguna (dove per altro sono cresciuto) con una grande identità sociale e territoriale, è spazio perfetto per raccontare con ancora più evidenza questo processo.
Shun Li e il Poeta, in fondo, è il luogo inventato ma assolutamente realistico, dell’incontro tra due mondi in crisi: quello di chi è costretto o ha scelto di abbandonare le proprie radici e quello di chi vede le proprie radici trasformarsi profondamente, fino quasi a scomparire.
Due mondi che improvvisamente scoprono nella ricchezza di un dialogo quasi impossibile, una strada per ritrovare momenti di dignità, di orgoglio, ma soprattutto di profonda felicità umana.
Questi due mondi si annusano e capiscono di avere lo stesso problema e, affidandosi più alla poesia che alla realtà, cercano di salvarsi reciprocamente.
Una salvezza quasi onirica, resa possibile anche dal fascino di un luogo, la laguna veneta a sud di Venezia, con i suoi casoni, le sue barche, le sue isole; un luogo che per altro non è stato mai o quasi mai raccontato dal cinema italiano ed europeo.
Questo progetto, infine, è un punto di sintesi del mio percorso registico nell’ambito del cinema-documentario, con cui mi sono occupato negli ultimi dieci anni principalmente di due temi: le migrazioni verso l’Europa (A metà, Marghera Canale Nord, A sud di lampedusa) e il territorio sociale e geografica del Veneto (Pescatori a Chioggia e La Mal’ombra).
Il film vuole essere girato intrecciando un linguaggio tipico del neo-realismo italiano con quello onirico del cinema orientale. Le varie esperienze di regia con il cinema-documentario mi hanno permesso di apprezzare il racconto non solo del reale, ma anche nel reale, aiutandomi a capire come con esso sia possibile scoprire la dimensione intima e profondamente umana della realtà, anche di tematiche urgenti ed attuali della società odierna, senza accettare i diktat e i format dell’imperante linguaggio televisivo e giornalistico. In Shun Li e il Poeta rispetterò modi e stili conosciuti nel cinema-documentario, lavorando nella maggior parte dei ruoli con attori non professionisti e scegliendo sempre location del mondo reale, a partire della Osteria Paradiso che esiste davvero lungo la riva del Canal Lombardo.
Contemporaneamente credo che la precisione e la sottigliezza del linguaggio cinematografico orientale e di alcuni importanti esempi del cinema indipendente internazionale (Jim Jarmush e Matteo Garrone in primis) siano tracce importante per riuscire a raccontare le atmosfere e i luoghi che ho scelto per questo progetto.