Ho
incontrato Ilia a Eidomeni. Sono due nomi che probabilmente non vi
dicono nulla, ma che possono aiutarci a capire molto di ciò che ci
sta succedendo.
Eidomeni
sta 70 km a nord di Salonicco, è l'ultimo villaggio greco prima del
confine con la Macedonia. E' da quasi vent'anni uno dei punti di
passaggio della cosiddetta rotta balcanica, la via che seguono i
migranti asiatici e mediorientali per raggiungere l'Europa. A
Eidomeni c'è una grande frontiera con autostrada a 4 corsie e check
point di tutto rispetto. Ma di là passano i cittadini normali, molti
macedoni, serbi, ma soprattutto greci che amano andare a giocare nei
casinò macedoni gestiti dai miliardari turchi. I non cittadini,
quelli che per anni abbiamo chiamato “clandestini” e che oggi
chiamiamo "profughi", cercano da sempre di passare lungo il
fiume, seguendo i binari dell'unica linea che collega Salonicco a
Belgrado. I passaggi sono difficili e per anni ci si è riusciti solo
grazie all'”aiuto” ben pagato dei passeurs, quelli che noi
chiamiamo erroneamente trafficanti. 1500-2000 euro a testa per
scappare da Schengen illegalmente, verso la Schengen che conta. Un
ironico destino lasciato nelle mani e nelle tasche di passeurs greci,
macedoni, albanesi o afghani, non certo attenti al rispetto delle
persone, anzi.
Quest'estate
la Turchia, sotto pressione dei rifugiati siriani e per esercitare
pressione sulla Grecia (che significa Nato ed Europa), ha bloccato i
controlli sulle coste e ha lasciato partire centinaia di barche. In
migliaia sono arrivati nelle isole greche e la polizia greca, per
ridurre la pressione sulle isole e per fare pressione sull'Europa. ha
organizzato navi e autobus per aiutare i profughi (gli ex
calandestini) a raggiungere i Balcani e l'Europa. Quale strada ha
utilizzato? Non quella verso i casinò, ma quella stretta tra binari
e fiume. Lì questa estate sono esplose le tensioni con la polizia
macedone, impegnata ad usare lacrimogeni e manganelli, e lì oggi c'è
un campo profughi gestito da UNHCR, MSF, Croce Rossa e altri, per
filtrare il passaggio e evitare scontri. Tutti i “profughi” che
arrivano a Eidomeni in autobus (pagato da loro stessi) aspettano ore
in mezzo al nulla per transitare nelle tende umanitarie e poi passare
in gruppi di 50 dall'altra parte. Al di là trovano altre tende
bianche e dopo altre ore di attesa prendono un treno per Belgrado.Da
Belgrado sono altri giorni di bus, treni e tende bianche per provare
a raggiungere Germania, Austria, Belgio e qualcuno (pochi per ora)
l'Italia.
Ho
incontrato Ilia in una delle tende bianche del campo di Eidomeni.
"Sono
un imprenditore agricolo siriano, mi chiamo Alì, ma voi potete
chiamarmi Ilia, è più bello, intanto qui i nomi valgono poco.
Guarda come mi hanno registrato al mio arrivo in Grecia - e mostra un
foglio dove i suoi dati rispetto al passaporto sono completamente
sbagliati - Tutti gli amici con cui sto viaggiando ora mi chiamano
capitano, perché quando siamo saliti in barca dalla Turchia, i
turchi ci hanno lasciati soli e io ho preso il comando. Per fortuna
il mare era piatto e siamo arrivato senza problemi. In Siria fino a
due anni fa lavoravo le mie terre, ho studiato agraria
all'Università, ma poi ho manifestato insieme a centinaia di amici
per libertà e democrazia e Assad mi ha messo in carcere. 18 mesi di
carcere, senza vedere mai nessun avvocato, nessun giudice. Quando
sono uscito è perché il carcere è stato attaccato e la polizia è
scappata. Credevo avessimo vinto, invece fuori ho incontrato pazzi
estremisti che mi chiedevano di andare in moschea tutti i giorni. Io
credo solo nella terra, sono ateo. Volevo più libertà, non più
moschee. Così dopo un po' ho deciso di andarmene. Ho venduto le mie
terre e sono andato a Beirut, ho messo i miei soldi in una banca in
Libano che mi darà una rendita di 1000 dollari al mese per 3 anni. A
Beirut ho cercato di capire come e dove potevo andare per provare ad
avere un'altra vita nella speranza di poter presto tornare. L'unica
informazione che ho ricevuto è stata di prendere un volo per Smirne
e di andare sulla costa che mi avrebbero fatto arrivare in Grecia e
poi in Europa. Ci ho provato, ma se avessi potuto con molti meno
soldi sarei volato verso il sud Italia o la Sardegna o Siviglia, con
i soldi che ho lì posso vivere bene. O anche qui in Grecia, potrei
stare a Kabala, è bellissima Kabala. Ma questa scelta non posso
farla." "Perché?" "Prima perché non avevo il
permesso e ora…ora non so esattamente perché, ma è come se io
dovessi stare qui in questa tenda, perché qui sono un profugo e ora
in Europa ho questo ruolo. E devo stare con i miei amici, abbiamo
viaggiato insieme, sono il loro capitano" E ride, con occhi
pieni di luce, ma confusi in quell'imbuto dove migliaia di "profughi"
sono incanalati verso l'"Europa". "Dimmi tu, che devo
fare? - ride ancora - ho bisogno di consigli, di capire. Qui non ci
dicono nulla, ci danno vestiti, cibo, giochi per i bambini, guarda ci
sono anche i clown per noi!" E' vero nelle tende bianche
esistono non solo i medici, ma anche i clown senza frontiere, Per
aiutare i profughi a distrarsi un po'.
"Io
sono un imprenditore agricolo con dei soldi in una banca libanese,
perché devo fare il profugo? Non so, ma ora sto qui e vado avanti.
Che di qui ci fanno passare." Il passaggio si basa su
riconoscimento estetico. Qualche ora dopo aver incontrato Ilia
cammino verso la frontiera e lo faccio superando i gruppi di 50
ognuno che attendono l'autorizzazione. Un poliziotto mi ferma, dice
che devo stare con il mio gruppo, un altro mi guarda meglio e dice al
collega che io non sono uno di loro e che posso camminare dove
voglio. Ma la frontiera non la posso attraversare lì. La mia è
quella a quattro corsie, verso i casinò.
Questo
è il paradosso di Ilia. In vent'anni non abbiamo fatto quasi nulla
per saper dialogare con quelli che a seconda delle stagioni chiamiamo
clandestini o profughi. Abbiamo continuato a gestire emergenze
attraverso strumenti impersonali e massificati, siano essi centri di
espulsione, di accoglienza, tende bianche o clown. Non sappiamo
parlare con Ilia e Ilia non sa come parlare con noi. E se ora la
quantità di Ilia intorno a noi sta crescendo non è solo per la
guerra, ma anche per colpa di questo paradosso. A Eidomeni c'erano
famiglie siriane in fuga, ma anche tantissimi migranti che usano
questa porta aperta dall'emergenza in corso perché molte altre sono
chiuse o non esistono. Così si concentrano nei luoghi assurdi come
Eidomeni, che diventano simbolo della nostra paura e occasione di
potere o visibilità per coloro a cui affidiamo la soluzione delle
nostre paure.
E'
necessario che tutti noi, da chi ha ruoli istituzionali ai semplici
cittadini, troviamo strade per conoscere Ilia, in partenza e in
arrivo. Anche per questo credo sia fondamentale che i comuni italiani
utilizzino in questi mesi una grande opportunità, quella di
utilizzare i fondi e le competenze del Servizio Centrale SPRAR per
aprire nuovi luoghi di accoglienza, che prima di tutto è conoscenza
e preparazione per un cambiamento che non è in arrivo, ma già
ampiamente in corso. Domani a Venezia gli esperti SPRAR incontrano
gli enti locali del Nord Est per presentare il nuovo bando. Non
perdiamo questa occasione.