16 marzo 2016
Per parlare di tutto ciò nelle prossime settimane accompagnerò alcune proiezioni del mio film "I Sogni del Lago Salato" organizzate in collaborazione con l'associazione A Sud e il Comitato promotore del Referendum 'Vota SI per fermare le trivelle'.
NoTriv - 17 aprile
Riflessioni su due importanti non-notizie
Il 20 marzo si tengono in Kazakistan le elezioni legislative anticipate. Il Kazakistan sì, quello per capirci del padiglione più visitato all'Expo. La cosa però non fa alcuna notizia in Italia, ma ha invece molto a che vedere con un'altra importante non-notizia che riguarda il futuro dell'Italia: il referendum del 17 aprile contro le trivellazioni lungo le coste dell'Adriatico.
Le due non-notizie meritano invece molta attenzione.
La prima, quella delle elezioni in Kazakistan, racconterebbe, se venisse diffusa, il drammatico peso dell'economia petrolifera sulla vita di un intero popolo. Infatti queste elezioni anticipate sono state annunciate dal Presidente kazako, Nursultan Nazarbayev, come necessarie per dare risposta alla difficile situazione economica del paese. Quando un anno e mezzo fa sono stato in Kazakistan a girare "I sogni del lago salato", il grande paese euroasiatico era considerato una delle nuove locomotive dell'economia globale: una nuova tigre, capace di avere tra il 2000 e il 2011 una media di crescita del PIL dell'8,4%, dati che nemmeno ricordiamo nelle nostre vecchie economie europee. I motori di questa tigre, che molte multinazionali occidentali sono state pronti a cavalcare, erano essenzialmente due: petrolio, gas e altri minerali preziosi da una parte, stabilità politica dall'altra. Due motori a cui la popolazione kazaka era chiamata a credere con indubitabile fiducia: "grazie al petrolio e al presidente il nostro paese continuerà a crescere e a farci diventare più ricchi e forti". Le città kazake erano piene di manifesti inneggianti al grande progetto di crescita lanciato dal presidente chiamato "Kazakistan 2050". Una fiducia cieca capace di guidare il paese per oltre 30 anni.
Camminare dentro questa "fiducia" con gli occhi da cittadino italiano consapevole di quanto successo nel nostro Paese dopo la grande fiducia degli anni '50 e '60, faceva tremare i polsi. Ma non esisteva quasi nessuno spazio per tentare di condividere questa preoccupazione. Tutto intorno alla fiducia era silenzio e obbedienza.
Purtroppo per i cittadini kazaki quella preoccupazione aveva invece un senso: nell'ultimo anno l'economia del Kazakistan si è bloccata, passando dal 6 all'1,5% di crescita (ultima stima, pare ottimistica, del FMI), e la moneta nazionale è stata svalutata quasi del 50% con la speranza di aumentare gli interessi di investitori internazionali (le multinazionali a cavallo della tigre, per intenderci), ma causando ovviamente un forte calo del potere d'acquisto della gente comune abituata a consumare molti prodotti di importazione. Il motivo principale della crisi è certamente il crollo del prezzo del petrolio, ma a questo va affiancata la scelta politica degli ultimi vent'anni di non differenziare l'economia nazionale e di legarla al controllo delle multinazionali del petrolio e del mercato da loro gestito. Una scelta sostenuta da quella silenziosa e cieca fiducia di cui parlavo sopra, che le classi dirigenti internazionali preferiscono definire "stabilità politica".
Insomma: per vent'anni i kazaki hanno saputo che affidandosi ai signori del petrolio e del governo le loro vite sarebbero state sempre migliori, e ora scoprono che non è così.
Per paura che possano arrabbiarsi (cosa tutt'altro che semplice, viste le forti misure di controllo da sempre utilizzate dal governo e dal suo presidente) Nazarbayev ha anticipato le elezioni legislative, sostenendo la necessità di dare voce al popolo per reagire alle contingenze economiche.
Qualcuno ci ha provato a prendere sul serio l'invito del presidente, ma ha avuto qualche problemino: moltissimi candidati dei partiti di opposizione (quelli veri, non quelli creati ad hoc per far bella figura con i controlli spesso ipocriti delle democrazie occidentali) sono stati esclusi per vari motivi dalla competizione e non c'è alcuna possibilità di sconfiggere il partito del presidente, che si chiama come lui "Nur". Anche il più ingenuo degli scommettitori potrebbe oggi puntare ad occhi chiusi su una vittoria di Nur con almeno l'85-90% dei voti, come è stato per tutte le consultazioni dopo il crollo dell'Unione Sovietica, durante la quale Nazarbayev era per altro già segretario del partito comunista kazako.
Domenica prossima la stabilità politica kazaka sarà confermata e potrà sostenere il vero piano chiesto al governo kazako dai famosi cavalcatori della tigre: visto che il paese sta crollando, loro rischiano di perdere gli investimenti e quindi hanno bisogno di essere aiutati; come? Semplice: vendendogli il paese stesso a basso costo e in fretta, visto che nella foga della grande corsa al paese è stato addirittura affidato il prossimo Expo, nel 2017. La notizia è raccontata senza mezzi termini dal gestore principale dell'economia nazionale, fedele amico di Nazarbayev: Umirzak Shukeyev, presidente del Fondo Nazionale Sovrano "Samruk-Kazyna", che ha dichiarato: "La nostra strategia di investimento sta cambiando e stiamo per lanciare nuovi investimenti in partnership con grandi società internazionali, a cui siamo pronti a concedere quote di maggioranza". Bingo.
In poche parole, il Kazakistan sta oggi vivendo in pochi mesi la parabola classica del rapporto tra economie petrolifere e vita reale dei cittadini. Una parabola che le nostre democrazie più mature hanno cercato di mitigare introducendo filtri, diritti e controlli, ma che ha prodotto gravissime conseguenze anche nelle vite di tantissimi italiani: inutile che vi racconti cosa significano Gela, Marghera, Mantova e tante altre ferite aperte nel corpo sociale e biologico della nostra società.
Le trivellazioni nell'Adriatico si muovono nello stesso solco e fermarle oggi è un segnale di democrazia e maturità civile necessario. Così come è necessario che questa scelta sia davvero affidata ai cittadini: lo strumento esiste, il referendum del 17 aprile, ma per ora è insabbiato, nascosto, taciuto. Vogliamo che questo appuntamento elettorale segua la strada delle elezioni in Kazakistan? Vogliamo far finta di mettere la scelta nelle mani dei cittadini e poi impedire a loro di sapere che possono agire quella scelta? Preferiamo aprire una discussione vera sul futuro della nostra vita o affidarlo ad una solida silenziosa stabilità politica?
Il primo appuntamento è proprio domenica 20marzo, poco dopo gli exit pol kazaki.
Vi aspetto domenica 20 marzo al Centro Sociale La Strada Roma alle 20.00. Come ci sarà Moni Ovadia e alle 21.30 proietteremo