“Può sembrare un eresia moderata, e in fondo lo è, in tempi di globalizzazione hard, puntare sull’ambivalenza del volontario e del “capitalista personale” - il primo stretto tra lo stare con la moltitudine sofferente o l’essere il braccio sociale del conservatorismo compassionevole, il secondo diviso fino alla schizofrenia tra il suo ruolo di capitalista nella società della competizione e l’essere una persona che fa e costruisce società – per chiedere la globalizzazione della solidarietà e dei diritti e delineare una società futura….
Ma se un altro mondo è possibile esso si realizzerà se sapremo metterci in mezzo, tra chi vuole e alimento lo scontro tra culture, religioni, etnie, con l’unico obiettivo di presidiare o conquistare la punta della piramide dei flussi. Occorre tornare alla metrialità dei luoghi qui come a Prijedor (città della Repubblica Serba di Bosnia dove Bonomi analizza il ruolo del volontario n.d.r.), dove il problema sono le forme di convivenza, i modelli di sviluppo, i lavori, le reti di solidarietà. Occorre mettersi in mezzo, tessendo e ritessendo legame sociale, andando oltre la comunità maledetta e delineando una comunità possibile.”
[Aldo Bonomi, La comunità maledetta]
Scusate per la lunga citazione, ma non sempre è facile spiegare con poche parole ciò che esiste nella difficile, contraddittoria e complessa progettualità territoriale di un’avventura come quella di Itaca. Solitamente abbiamo scelto altri modi per diffondere o comunque raccontare le idee, i perché e le tappe del nostro viaggio: solitamente utilizziamo il linguaggio dell’espressione artistica, ovvero di quel linguaggio che può far sentire anche senza spiegare e che, soprattutto, ha la grande possibilità di aprire le strade e non di chiudere i ragionamenti.
I manifesti, le cartoline, le immagini e le parole di Itaca sono appunti appesi ai muri e ai silenzi della città, sono brevi segnali illusi di spezzare la banalità del sopravvivere, luoghi virtuali o reali d’incontro di una comunità dispersa e smaterializzata, momenti di volontaria ed ebbria interruzione dei tempi utili e coatti della produttività: i manifesti, le note, le voci e i messaggi di Itaca saranno sempre questo, ovvero una presenza nata come inutile concerto in un mare di manie per la necessità dell’utile.
Ed è in questa contraddizione tra razionalità dell’agire produttivo (evidentemente tipico del territorio, o addirittura del terreno patavino) e incerto navigare (o naufragare) del linguaggio artistico, che Itaca trova lo spazio del proprio agire sociale e che quindi chiede, forse incongruamente e con impertinenza di essere accolta nella rete di chi, come dice Bonomi, agisce territorialmente per delineare una comunità possibile e non maledetta.
Itaca agisce per disarticolare la maniaca perfezione finanziaria che caratterizza non solo e non tanto il sistema sociale di Padova, ma soprattutto le vite e i cammini di molte, troppe persone che vivono a Padova e nelle città come Padova. A tutti questi noi ci rivolgiamo: questa è una comunità maledetta finchè vive solo di scontri con l’altro e di giochi di potere (qualsiasi potere, a partire da quello condominiale) per conquistare la piramide dei flussi; per questo noi vogliamo che questa comunità cambi sé stessa. Niente di più impossibile e di più possibile nello stesso tempo, ovvero un campo di battaglia culturale in cui l’unico agire praticabile è quello artistico. Ma nello stesso tempo un campo di battaglia che trova legami, incroci e dialoghi con altri spazi e luoghi di costruzione possibile dell’apparentemente impossibile. Legami, incroci e dialoghi che partono secondo noi da un elemento fondamentale dell’agire, che può finalmente risvegliare o dare inizio a lotte e sogni che altrimenti potremmo solo sperare: questo elemento è il territorio.
Territorio in cui “mettersi in mezzo”, in cui agire con costanza e presenza, in cui sollecitare una partecipazione concreta, in cui contrastare il potere crescente del virtuale, in cui sostituire alla tele-comunicazione la collaborazione, in cui vedere, sentire e annusare terreni, pensieri e problemi, in cui osare progettualità e costruire o cercare comunità.
In questo territorio anche Itaca agisce, anche se lo fa con uno strumento, l’arte, apparentemente incongruente con la pragmatica dell’azione.
Itaca è un agire e come tale ha i mille problemi dell’agire tipici di chi, citando sempre Bonomi, è “diviso fino alla schizofrenia tra il suo ruolo di capitalista nella società della competizione e l’essere una persona che fa e costruisce società”. Ogni anno dobbiamo cercare finanziamenti, spazi, strutture, sponsor, permessi e altre necessarie distrazioni dell’ordine capitalista: non c’è dubbio che siamo anche noi dei capitalisti personali e non c’è dubbio che altrimenti oggi non potrebbe essere. Eppure accettiamo e soffriamo il ruolo cercando di perseguire due scopi: raggiungere il traguardo tutt’altro che facile di invadere per almeno 10-15 o 20 giorni all’anno il territorio in cui agiamo con i messaggi contro la comunità maledetta e non sottrarci alla schizofrenia di cui parla Bonomi.
In questo strano arcipelago di convinzioni e tentativi Itaca dà appuntamento a tutti i volontari e capitalisti personali della comunità possibile per i primi di settembre a Padova, quando riproporremo la nostra invasione artistica, mettendoci in mezzo al flusso di normalità che accetta come unica via il successo del produrre contro il viaggiare e come spiacevole conseguenza la sofferenza di tale successo la sofferenza della moltitudine.
In particolare lavoreremo quest’anno su due temi:
a)il rapporto in questo mondo e in questo tempo storico tra passato e presente: come le tradizioni culturali, popolari e sociali possono intrecciarsi ad una modernità che tende ad omologare, cancellare e commercializzare. Come possono dialogare l’osteria e il pub stile irlandese,? La bocciofila e il bowling? Ciò verrà fatto anche tramite particolare attenzione al ruolo che in questa dinamica culturale gioca la “ricchezza materiale”, sia come condizione socio-economica che come posizione mentale.
b)il rapporto in questo mondo e in questo tempo storico tra noi e gli altri, tra un noi oggettivamente dotato di migliori condizioni materiali e storicamente di poca abitudine al confronto e un altri considerato o sentito spesso troppo diverso. Particolare attenzione sarà data al tema della conflittualità con l’altro, che in questo periodo storico ha tristemente caratterizzato il quadro politico internazionale.
Appuntiamo alla fine di questo ingenuo ma sincero contributo alle parole di Ecopolis la notizia che Itaca, sempre sulla scia delle parole di Bonomi, ha lavorato per non essere sola e per “tessere e ritessere legami sociali” e ha dato vita insieme ad altri tre narratori dell’arte e del territorio il circuito di festival indipendenti COLTURE (dove la cultura scende dal suo presuntuoso altare e si infanga nei terreni coltivati o ipercoltivati della regione). Gli appuntamenti di COLTURE sono:
metà maggio: festival INTERSEZIONI organizzato da INTERZONA a Verona
4-8 giugno: festival CIRCUITOFF organizzato da ArteColica a Venezia
metà agosto: festival AzioniInClementi organizzato da Atoz a Malo (VI)
primi si settembre: festival ITACA organizzato da toniCorti e TPR a Padova
Buona partecipazione a tutti nella nuova comunità possibile.
Andrea Segre
Per ITACA