13maggio2014. Leggo stamattina i giornali.
Quelli europei quasi non ne parlano.
Quelli italiani dicono tutti che l'Italia attacca l'Europa e che l'Europa dice che farà qualcosa per evitare altri morti e prendersi sue responsabilità.
Il peso della campagna elettorale su queste dichiarazioni è enorme.
Ma proviamo a crederci e diciamo tutti una cosa molto chiara.
Se è e soprattutto se sarà vero che Europa e Italia organizzeranno, come la Malstrom pare abbia dichiarato e come Renzi-Alfano sembrano voler chiedere (i dubbi scusate dopo tanti anni sono inevitabili), se davvero organizzeranno canali umanitari e programmi di resettlement, allora saremo di fronte all'assunzione di responsabilità storica di rilevanti dimensioni. Perché? Perché sulla rotta Libia-Italia nulla è cambiato rispetto ai diritti di fuga di chi si imbarca e rispetto alla gestione dei viaggi. E' cambiata la capacità europea e italiana di influire sui controllori libici delle partenze, che tutti sanno essere non trafficanti misteriosi e introvabili, ma gli stessi poliziotti o miliziani con cui Europa e Italia trattano oggi come trattavano ieri. Chi viaggia ora sono le stesse tipologie di persone di 8 anni fa (oggi vi sono molti siriani e 8 anni fa molti più sudanesi, a seconda delle crisi in corso nell'area, oggi molti più eritrei 8 anni fa più etiopi, oggi più gambiani 8 anni fa più ghanesi e via dicendo), ma 8 anni fa Italia ed Europa hanno invizato a costruire barriere, trattati, accordi bilaterali, strategie di rimpatrio, centri di detenzione, deportazioni e tutto ciò che abbiamo quasi noiosamente raccontato. Mentre raccontavamo chiedevamo con angoscia e chiarezza che si cambiasse strategia, che si mettesse fine a quell'eccidio, costruendo canali umanitari e percorsi di emigrazione legale. Il silenzio, dettato da interessi elettorali e miopie internazionali, è stato assordante. Ora la strada che, ripeto il dubbio, sembrano voler provare a intraprendere è quella che se fosse partita 8 anni fa avrebbe salvato non le 40 vittime di ieri, ma gran parte delle oltre 20 o 30000 di questi anni. Perché 20 o 30000, perché sparo questo numero così tondo e disumano? Perché io, come tutti noi non sappiamo. Non sappiamo esattamente quanti copri vi sono nel Mediterrano, quanti nelle carceri libiche, quanti nel deserto libico, quanti in quello sudanese o nigerino dopo i respingimenti e le deportazioni libiche chieste dal governo italiano, quanti nel Sinai, quanti nelle carceri dei paesi di origine dopo i rimpatri coatti. Non lo sappiamo e non lo abbiamo mai voluto sapere. Perché l'unica miope, inefficace e disumana strategia sviluppata fin qui è stata quella del controllo dei corpi alle frontiere, per usare la chiarezza drammatica leghista dell'allora Ministro degli Interni: "L'importante è che non arrivino".
Se quindi oggi Italia e Europa inizieranno a pensare come fare altrimenti (e chissà quanto ci metteranno a farlo), allora il primo passo chiaro e storicamente necessario è che dicano: "Scusate, abbiamo sbagliato". Devono dirlo non certo per la privata soddisfazione di noi che li abbiamo criticati, ma per la memoria di ognuna delle vittime di questo eccidio e per la conoscenza e consapevolezza dei cittadini europei cullati in questi anni nell'humus avvelenato delle demagogie securitarie. Devono dirlo perché nella storia solo attraverso i riconoscimenti delle responsabilità si sviluppano i cambiamenti reali e importanti. Ed è raro che nella storia avvenga, perché purtroppo servono sempre migliaia di morti civili e innocenti perché il potere pieghi la sua autorità ad una autodenuncia così pesante. Servono le guerre, come quella che 8 anni fa abbiamo iniziato nel Mediterraneo e che oggi dobbiamo avere il coraggio di dire "abbiamo perso". Si perché quei corpi nemici morti sono i corpi della nostra sconfitta.
Non c'è nessun astio nei confronti di potere e politica nelle mie parole, c'è una profonda e triste tristezza. Perché so, ho la certezza che gran parte di quelle vite le avremo potute salvare. E senza questa tristezza non saremo in grado di evitarne altre.
E ora ancora un po' di pesante, intollerabile silenzio.
Andrea